RACCONTI DI CHITTA' (GONG) IN CHITTA' (GONG)

 

Primo Capitolo: Madrid

 

Non mi alzavo mai prima di mezzogiorno, un po’ per la non voglia un po’ per voglia di stare comodo e coccolato dalle lenzuola bianche e morbide. Ci sono alcune volte in cui preghi qualcuno affinché ti faccia alzare il più in fretta possibile, ci sono altre invece che nemmeno una sequenza stile Apocalypse Now ti farebbe alzare.

Io preferisco non alzarmi, (sono sempre un po’ stordito dalla sera prima, la “Sfattosi” che non è altro che il post sbornia tremendo), forse dovuto dalle innumerevoli birre ingurgitate frettolosamente la sera prima. Un pub aperto, birra e qualche ragazza con cui parlare e il mix letale è fatto.

Avevo ancora voglia di vivere qualche mattina, l’aria pulita, lo smog ancora inesistente e quelle persone che vedi tutte indaffarate ad andare a lavorare o farsi i cazzi propri. Invece no, svegliarsi e non sapere ancora che cazzo fare di quella giornata ancora da vivere, questo è il mio dilemma, lo sommerei anche alle ripetute erezioni mattutine che non ti danno tregua.

Avevo finito da poco il mio girovagare per l’Europa, ma non per lavorare, solo per andare a trovare qualcuno in ERASMUS… Madrid, Londra, Stoccolma, Monaco, Bilbao, Copenaghen, Dublino, Berlino Praga (in quest’ultima gli ERASMUS non sono fatti per studiare ma forse per far parte a qualche provino di Rocco Siffredi). Avevo comprato qualche anno prima che intraprendessi questo tipo di girovagare un furgoncino Westfalia anno 1988 usato ma tenuto bene come diceva una vecchia canzone, lo sistemai alla meno peggio e mi misi in viaggio più contento che mai. On the road come direbbero gli americani, ma io che sono mezzo occidentale dico “on de’(cadenza tipica livornese) rodde”.

Avevo un amico a Madrid, un certo Paolone, che fin dai tempi della scuola aveva istaurato con me una forte amicizia, lui era “ganzo”, simpatico, ci piaceva suonare insieme il Blues. Lo avevo contattato più volte nell’arco di questi anni, e alla fine mi convinse a raggiungerlo, e così feci.

La strada scorreva veloce e agile sotto le ruote del furgoncino, i kilometri sembravano comunque non finire. Impostai il mio navigatore su Madrid, 1633 km (conoscendovi andrete sicuramente a vedere se sono esatti). Non mi spaventavano, avrei fatto di tutto per arrivare a destinazione e così feci. Mi accorsi solo dopo un po’ che quel mezzo era fatto per le grandi distanze, le menti automobilistiche tedesche avevano fatto bene i loro calcoli, quel furgone di origine tedesca non avrebbe mai mollato. Solo alcune salite e strade impervie fecero crollare per un attimo il cuore pulsante di quel mezzo ma niente di più, riuscì a portarmi a destinazione. Direi che se dobbiamo mettere il tutto sul piano percentuale il viaggio si concluse in modo ottimale grazie a questo simpatico calcolo: 75% percento lui (il Furgoncino) 15% io e 10% la birra (una bevanda che macina kilometri), potrebbe essere una nuova pubblicità per qualche marchio di birra.

Aveva un piccolo appartamento in un quartiere tranquillo, era abitato in gran parte da tifosi del Real Madrid, innumerevoli bandiere svolazzavano attaccate a quei piccoli balconi malconci. Arrivai intorno alle 18 del pomeriggio, un po’ stanco ma ancora sveglio e dinamico per affrontare un enorme chiacchierata che ci avrebbe portato a raccontare circa dieci anni delle nostre vite in sole 4 ore di chiacchiere.

Divideva il suo piccolo appartamento con una ragazza di origine svedese, una certa Hilda  (il nome l’ho scelto, dato che non avevo la più pallida idea, digitando su Google: “ Nome svedese femminile”) di 29 anni, scappata da Stoccolma e trapiantata da anni a Madrid per inseguire il sogno di modella (credo che questo sogno sia rimasto tale),  faceva la cameriera in un locale nel centro di Madrid, lo stipendio le serviva solo per pagare l’affitto e qualche extra. Parlammo un po’ del + e del -, la trovai subito alla mano e molto cordiale, forse aiutati anche da sostanze ancora non legali. Scoprii che oltre a fare la cameriera, teneva delle lezioni di lingua svedese ad un gruppo di manager spagnoli in procinto di lavorare in Svezia per qualche anno. Roba incredibile, mi dissi, uno spagnolo che tenta di imparare una lingua che discende dall’antico nordico, la lingua comune dei germani che vivevano in Scandinavia durante l’Era vichinga? Mah!! Il mio cervello stava facendo tutto quello che non doveva fare, la situazione era dovuta alle sostanze non legali sopra citate, si poneva di questi quesiti e non avevo ancora tolto gli occhi da quello splendido viso nordico di Hilda (non è assolutamente vero mi ero fissato vergognosamente sulle sue tette veramente enormi stile Milf Tedesca di quarant’anni che all’Oktoberfest porta dalle cinque alle sei pinte di birra con due mani e due tette). Nell’indecisione decisi di dare una stemperata al mio corpo facendo una ricca doccia e con l’intento che dopo, avremmo passato una bellissima serata noi tre nella movida madrilena.

Accompagnati dal tipico detto madrileno: “Madrid nunca duerme” (Madrid non dorme mai) partimmo belli “abbenzinati” (parola raccolta dal tipico detto labronico) per le vie di Madrid, dopo circa due ore non ci riuscimmo più a distinguere, l’alcol stava facendo il suo stupido lavoro, la mente si annebbiava le parole non si distinguevano più, ma l’unica cosa che ancora potevo distinguere era lei che per tutta la sera era stata con me quasi fosse la mia ragazza, Hilda era il suo nome. Decisi a quel punto che me la sarei giocata in tutto e per tutto, ero in gioco e il mio HOME RUN stava per concretizzarsi. La invitai a bere qualcosa, come se non l’avessimo ancora fatto, e lei dopo il primo sorso di birra mi disse in Spagnolese (mix linguistico tra Spagnolo e Svedese) : “ Andiamo a casa, ho voglia di stare da sola con te” , credo volesse dire questo. Scappammo immediatamente dal locale, Paolone era rimasto a chiacchierare con degli amici, riuscì a dirgli in fretta e furia:” Ci vediamo a casa, vieni più tardi possibile” fece un cenno come per dire, hai la mia benedizione. Corremmo veloci nella trafficata Madrid, io non sapevo neanche dove andare, ma lei dopo anni passati in quella tentacolare città sapeva benissimo dove portarmi.

In un lampo ci trovammo sotto casa, si avvicinò, mi sfiorò le labbra e con la chiave aprì la porta, ancora corremmo verso la camera, lei si spogliò in un millisecondo toccò il letto e mi tese la mano come a dire; vieni nel mio regno ancora da scoprire.

Ora voi vi domanderete che cosa avessimo combinato quella sera, siccome la storia la sto narrando io, sta a voi crederci o no a quello che scriverò.

Passammo una notte di fuoco e fiamme, letto che si impennava stile l’esorcista, la temperatura scese di colpo e ad un tratto entrò anche padre Damien Karras che chiedeva chi fosse da esorcizzare. Tutte stronzate, non avvenne un bel cavolo di niente, lei appena mi tese la mano si addormentò come se avesse preso tre litri di camomilla ed io, che avevo quell’erezione mattutina che non ti danno tregua, ritornai nella mia stanza a dormire.

La mattina, mi lasciò una lettera, con scritto che le dispiaceva di tutto quello che era successo, aveva fatto i bagagli e sarebbe ritornata a Stoccolma, avevo capito. Anche io feci le mie valige, raccolsi le ultime cose, salutai e ringraziai il mio amico Paolone e saltai al volante del mio furgone che mi avrebbe portato chissà in quale altra città dell’Europa.

 

 

 

Secondo Capitolo: Londra

 

Mi lasciai alle spalle la lontana Madrid avevo ancora molte miglia da percorrere (mi sono permesso di citare una piccola frase del buon vecchio Stuntman Mike in Grindhouse), il mitico furgone non aveva paura, andava avanti senza nessun problema. E’ proprio quando sei alla guida, sulla strada, che la tua mente si apre, infinita, come se non ci fosse più un ostacolo. Pensi sempre a cosa ti succederà, agli errori che hai commesso precedentemente e cercare di non farli mai più, siamo umani è difficile non commetterli.

 

Ti accendi una sigaretta, con il gusto di fumarla, là fuori fa freddo stai macinando kilometri e non sai qual’ è la tua meta, proprio mentre hai perso le speranze e di domandi se fai bene a fare quello che fai, dal luogo più remoto della tua mente arriva la soluzione: Londra.

 

E’ li che andrò, non mi ricordo di avere nessuno in quella città, anzi no, un mio vecchio amico di nome Emiliano “salpato” anni fa da un vecchio paesino del Senese e approdato in quel di Londra per cercare fortuna nel campo della pittura, si esatto lui era un buon pittore. Adesso comunque non ci penso lontanamente a contattarlo voglio fare un po’ il “Wild”, non so dove passerò la notte non so dove mangerò … l’unica cosa che so è che voglio bere una birra. La stappo, la gusto, mi sta dando sollievo, vedo le cose in un modo diverso come se non esistesse niente …. adesso sono LIBERO.

 

Arrivai in città in tarda notte, un posto dove accamparmi mi risultò subito difficile, scelsi un vecchio barcone sul Tamigi che, circa 10 anni fa (secondo il proprietario), fu adibito alla sua funzione attuale: un hotel. Il proprietario era un vecchio barbone sulla sessantina, aveva una pipa in bocca, un cappellino blu e un tatuaggio sbiadito sull’avambraccio sinistro. Mi accomodai in camera, dopo pochi minuti il “Braccio di Ferro” (il proprietario) della situazione mi disse se volevo qualcosa da mangiare, accettai subito l’offerta e in meno di un minuto ero davanti a un buon piatto di Fish and Chips. Facemmo due chiacchiere in santa pace davanti ad un’ottima birra tra racconti vari e risate, poi guardai il mio orologio, erano le due di notte, gli dissi che ero stanco e volevo andare a dormire; così feci.

 

La mattina seguente con gli occhi che sembravano due sgraffi, mi diressi in città a fare un giro, era una giornata piovosa, cupa, ma che dire …. Se volevi il sole potevi alle Cayman. Arrivai stanco in un pub, mi sdraiai praticamente sulle poltroncine e chiesi una birra doppio malto. Usai subito il pretesto di essere arrivato da poco in città per far colpo su una ragazza che pareva proprio carina. Le chiesi dove avrei potuto dormire, il barcone era ormai andato, non volevo dormire più su una zattera, avrei voluto una camera normale ed un bagno decente, non come quelli di Caracas.

 

Ritornai nel pub una seconda volta e poi una terza e poi chissà quante altre volte, avevo perso il conto lei era sempre più gentile ma non avevo ancora voglia di fare il grande balzo ovvero quello di chiederle di uscire. Forse la scottatura dell’altra volta a Madrid forse la voglia di starmene un po’ per conto mio fece si che ci lasciammo solo il numero di telefono e non ci vedemmo mai più.

 

Decisi allora, dopo qualche giorno, di andare a trovare il mio amico Emiliano, sapevo che era diventato abbastanza famoso come pittore, tramite alcuni agganci riuscii ad avere il suo indirizzo, decisi come non mai di andarlo a trovare. Presa la metropolitana mi trovai subito in un bel quartiere, curato in ogni minimo particolare, prato ben tagliato (all’inglese), fiori e piante curate in modo minuzioso.

Suonai al campanello al numero civico 7 e indovinate un po’ chi mi aprì; proprio lui il pittore più pittore che ci sia Emiliano, ci salutammo con un abbraccio di quelli che segnano di quelli che ti trasmettano tutto il tempo perso e la voglia di parlare e raccontarti storie. Ricordo inoltre che aveva ancora le mani macchiate di colore e abbracciandomi, mi stampò quest’ultime sul mio giacchetto ancora pulito, ero felice anche se avrei dovuto lavarlo.

 

 

Era da molto tempo che non lo vedevo, mille racconti e mille pensieri mi assalirono immediatamente ma lui riusciva sempre a metterti a proprio agio, l’accuratezza che aveva nel fare i suoi quadri lo trasmetteva anche con le persone e ancora di più con gli amici più cari. Mi raccontò che stava allestendo una sua galleria proprio in centro, aveva ancora molto lavoro ma se la stava passando bene, dopo anni passati in una piccola topaia e vedere che i suoi lavori non andavano bene per il mercato inglese adesso poteva urlare al mondo intero di avercela fatta. Mi invitò all’apertura della galleria che si sarebbe tenuta tra circa due settimane, nei miei piani non volevo fermarmi troppo a Londra, ma per lui scelsi di rimanere.

 

Arrivò il fatidico giorno, l’apertura era alle porte, ore 21 presso la galleria d’arte non volevo assolutamente mancare e ritardare, non sapevo cosa mettermi, non so come si va vestiti a questo tipo di eventi.

Per fortuna pochi giorni prima mi comprai un po’ di vestiti a buon prezzo in un mercatino molto economico.

Per come sono fatto, mi infilai sempre la solita roba e scappai immediatamente in quanto in vergognoso ritardo. La galleria era già colma di gente, come se ci fosse la mostra del ben più noto mio concittadino Amedeo Modigliani, tantissime persone e personaggi ben noti nel panorama artistico londinese che si congratulavano con Emiliano per i suoi lavori ancora attaccati alla parete di questa splendida galleria, pronti per essere comunque venduti a chi volesse avere in casa un’opera di tutto rispetto.

 

Mi districai tra personaggi e dibattiti lontani da me anni luce, tra un buon bicchiere di vino rosso tra le mani e ogni tanto un’uscita per una sigaretta riuscii ad arrivare a chiusura, ancora visibilmente provato dissi ad Emiliano che sarei tornato a casa a piedi per riprendermi un po’. La città nella notte sembra avvolgerti, sembra coccolarti come una mamma coccola il suo bambino, le luci, i rumori sono sempre meno marcati. La notte in città ti schiarisce le idee ti fa pensare con più lucidità senza il chiasso delle auto, senza il frastuono di miliardi di voci che si sommano in un unico rumore assordante, diretto, fastidioso.

 

Il giorno dopo e ancora quello seguente, capii che era arrivato il momento di andare, questa città, questo viaggio mi aveva fatto capire ancora di più che avevo ancora sete di conoscere persone, di confrontarmi con altre realtà, di vedere luoghi dove forse un giorno sarei andato a vivere o forse non l’avrei mai più considerati. Nudo, come la prima volta che vieni al mondo, sarei rimasto se non avessi intrapreso questo viaggio, se non avessi visto queste città e forse, se non avessi voluto scrivere questo racconto.

 

 

Terzo Capitolo : Stoccolma

 

Non è facile giocare con la mente, quando hai un pensiero dritto in testa che ti perseguita giorno e notte e non puoi fare a meno di pensarci. Questo mio essere “fuori”, questo pensiero è nato quando ho deciso di dirigermi a Stoccolma, una città pazzesca. Avevo collegato il mio cellulare all’accendisigari, l’unica fonte di energia in quel furgone e senza neanche pensarci scorrevo la rubrica e indovinate dove andai a incappare? Alla lettera H, che guarda caso era la prima lettera del nome HILDA, si proprio lei (vi ricordate la ragazza di 29 anni, scappata da Stoccolma e trapiantata da anni a Madrid per inseguire il sogno di modella (credo che questo sogno sia rimasto tale), faceva la cameriera in un locale nel centro di Madrid, lo stipendio le serviva solo per pagare l’affitto e qualche extra?) era entrata nella mia testa e non riuscivo a togliermela anche dopo 1200 kilometri.

Ero ad un bivio: la chiamo o non la chiamo? Un quesito che, anche Amleto, non avrebbe potuto sottrarsi. Alla fine, appena stavo entrando in città dalla strada principale, decisi di chiamarla. Dopo pochi squilli e quel “cagotto” che accompagna sempre l’emozione di chiamare una ragazza, sperare che risponda, e a tutto quello che dirai lei dirà sempre si; mi ritrovai improvvisamente sommerso e inghiottito dal traffico enorme della città. Lasciai presto il cellulare e mi concentrai sulla guida, non avrei mai voluto stabilire un record come automobilista che a soli cinque minuti dall’ingresso di Stoccolma già aveva fatto un incidente.

Finalmente accostai in un piccolo posto accanto ad una scuola, ripresi il mio cellulare e vidi una chiamata senza risposta, era lei. Di colpo decisi di richiamarla e sentire che faceva, mi rispose con voce tranquilla e allo stesso tempo contenta di sentirmi a tal punto che mi dette subito l’indirizzo e il numerico civico di casa. Mi ritenni fortunato, quando mai ti ricapiterà, mi dissi, di chiamare una ragazza e lei al primo suono di voce ti comunica simpaticamente l’indirizzo e il numerico civico di casa? Mah! Meglio così, impostai il navigatore e mi diressi verso la casa dei sogni.

Parcheggiai il furgone proprio davanti alla sua abitazione, lei era affacciata alla finestra come se mi aspettasse da sempre, scese dalle scale e mi accolse sulla porta con un sorriso, io che a quel sorriso avevo già ceduto tempo fa, mi ritrovai in un secondo abbracciato stretto a lei. Ancora sento il suo profumo.

Presi tutta la mia roba dal furgone e mi accomodai in soggiorno dove mi preparò il pranzo, mangiammo insieme, bevemmo una bottiglia di vino a testa e cominciammo a raccontarci tutte le storie passate insieme e non. Dopo caddi stremato dal sonno sul suo divano, proprio accanto a lei.

Dopo una lunghissima dormita mi svegliai e non sapevo più dove fossi, mi alzai per andare in bagno, lei stava facendo il bagno nella vasca, si stava rilassando con le cuffie ascoltava i CCR, gruppo insolito per una ragazza, ma lei era speciale anche in questo. Rimasi a fissarla per qualche secondo fino a quando lei non aprì gli occhi e mi sorrise. Ci preparammo velocemente e ci ritrovammo i pochi minuti in centro città, colori suoni, persone ogni luogo era magico, Stoccolma ci coccolava, ci rilassava, ci teneva vicini come una vera coppia.

Forse saranno state le birre bevute, la cena squisita che ci fece perdere il controllo del nostro tempo passato insieme, mi ritrovai la mattina dopo accanto a lei nel letto, non ricordo assolutamente niente di quella sera solo un enorme mal di testa che si stava impossessando di me come il diavolo fece con la piccola Regan MacNeil nel film L’esorcista.

 

Avevo capito immediatamente che fu solo una deviazione, una cazzata, di andarla a trovare, quella sensazione di quando non hai in mente niente e la prima cosa che scegli è proprio quella sbagliata. Io scelsi la cosa sbagliata, mi alzai dal letto senza farmi accorgere e radunai all’appello tutte le mie cose le infilai velocemente nella mia valigia e scappai come ormai facevo da sempre. Alle volte la miglior tattica è la fuga altre volte invece rimanere e spiegare alla persona interessata perché fai questo, forse sarebbe la soluzione giusta.

Io non ce la faccio, sono così non ho spiegazione per tutto questo. Sono solo e rimarrò solo con questo furgone, con questa valigia e con tutte queste miglia ancora da percorre. La strada davanti è ancora lunga e io sono ancora convinto di farcela, ritornerò da questa esperienza cambiato e forse la fuga non sarà più un problema ma solo una parola come tante, di quelle a cui non devi dare spiegazioni.

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