WELCOME TO TUBINGA (STORIE DI CONVIDVENZA - 19)

 

Eravamo troppi per quell’appartamento ma in fondo ci trovavamo bene, ognuno con il suo ritmo di vita le sue abitudini, ma avevamo comunque un comune denominatore, quello di condividere tutto. (Alcune volte anche le mutande). C’era Elio, studioso d’informatica all’ennesima potenza, in sostanza per lui un computer era forse una mamma, un papà, un fratello, una fidanzata, un mix di persone e di sentimenti. Quando non voleva essere disturbato, quando aveva il suo momento anti-mondo usava lasciare fuori dalla porta di camera un biglietto con scritto: “Alt Gr” la stessa scritta che troviamo sul comune tasto della tastiera del computer, e se provavi a bussare sentivi da sotto le coperte una vocina, che tanto vocina non era, che strillava la sua famosa frase: “Non voglio essere disturbato, ESC!” (anche ESC lo troviamo comodamente scritto sulla tastiera del computer). Vedeva tutta la sua vita in un monitor e tutto quello che un computer inanimato gli poteva dare.

Poi, nell’appartamento viveva George (non Clooney) un ragazzo di trent’anni che viveva ormai in Italia da quando era piccolo, amava definirsi un “Britannitalo”, inglese da parte di padre e italiano da parte di madre, studiava psicologia da ormai oltre sei anni e non aveva ancora scoperto che cosa era la laurea, diceva sempre che i professori non riuscivano a capirlo, aveva una mente al di sopra anche della psicologia umana. Secondo me non era questione di psicologia umana era solo questione che forse in testa aveva ben altro, non so, forse le “ragazzette” che una volta si e l’altra pure venivano a casa a fare all’amore con lui. Aveva qualcosa che attirava un certo numero imprecisato di gentil sesso, era bravo con le parole e forse questa cosa della psicologia lo aiutava molto. Se fosse stato per noi in quella casa non sarebbe mai entrata una quantità così di ragazze, forse sarebbe diventata una casa di riposo per anziani. Ci fu una sera che, dopo aver mangiato indiano e strafatti di nuvolette di drago, i nostri miseri cervelli cercarono di dare un nome a questa casa di riposo, ne vennero fuori circa mille, ma due forse valevano il prezzo del biglietto: “Un passo prima del Paradiso” e “Prima del lungo riposo” (frasi che la dicevano lunga sulla nostra salute mentale).

Poi c’era la “fanciulla” della casa, colei che non cadde mai nelle braccia di George anche se qualche volta ci andò praticamente vicino, era Molly (non le capsule per il mal di testa, il nome ha una Y che non dimentichiamo) per dirla tutto non era neanche il suo vero nome lei si chiamava Agnese Mollica. Immaginate del perché la chiamavamo Molly, lei lavorava in un Fast Food poco fuori città chiamato “Alì (di pollo) Babà e cinquanta sfumature di pollo”, non di quelli americani, era praticamente un Indiano di nome Alì che aveva tirato su questo impero di ali di pollo fritto e Babà (tutto quello che nostro Signore aveva dato vita sulla terra lui lo friggeva). Sosteneva di essere al cento per cento indiano ma secondo noi e secondo anche l’accento era mezzo indiano e mezzo napoletano (si poteva capire dai Babà e dalla musica che ascoltava in negozio da Gigi d’Alessio a Mario Merola e finire con il mitico Nino D’angelo) avevamo tutte le prove per smascherarlo.

Dividevamo la casa anche con un altro bel personaggio, diplomato in pianoforte al conservatorio di nome Giovanni (lo soprannominammo subito Giovanni “Al” Levi, vuoi per il pianoforte vuoi perché assomigliava molto ad un giovane Al Pacino) oltre al pianoforte aveva una fissa viscerale per Star Wars, non pensava mai alle ragazze (credo l’ultima volta che ne aveva vista una era su Postalmarket) ma solo come vestirsi ogni anno a carnevale se da Dart Fener o da Obi-Wan Kenobi. Da ricordare l’anno 2013 quando trovò su un sito americano il costume di Chewbecca a soli 325 dollari, si fece recapitare il pacco a casa di sua madre che aprendolo si spaventò talmente tanto che, credendo fosse un animale morto, denunciò tutto alla polizia. Racconti da fantascienza ma veramente accaduti.

 

Infine ci sono io, scrittore alle prime armi anzi primissime forse anche un po’ in erba (sapete di che parlo) che cerco di sfondare almeno in parte nel mondo della scrittura da circa sette anni ma ahimè , senza riuscirci. Scrivevo per un giornale di serie B qualche articolo di politica e di cinema la mia grande passione, una mania, una droga. Devo comunque ammettere che Molly la nostra inquilina è caduta diverse volte nelle mie braccia ma questo George non lo sa e vorremmo che non lo sapesse mai.

Avevamo una sola idea nelle nostre menti cercare di vivere un’avventura che poteva cambiare le nostre vite in meglio ma senza dividerci anche perché ormai eravamo una famiglia a tutti gli effetti anche se sgangherata, ma comunque bella e da raccontare.

Tutto questo si avverò, almeno in parte, una sera quando tutti insieme eravamo in salotto sdraiati sul divano belli sbronzi di birra e di pollo (quello del nostro Alì di fiducia) che parlavamo di dove sarebbe stato bello andare a vivere, dopo aver detto tredicimila città tra cui anche il pianeta Naboo (immaginate chi disse questa cosa), Molly disse: “TUBINGA!” e noi: “Ma è una marca di colla o cosa?”.

Molly ci stava dicendo Tubinga la città in Germania, dove risiede una delle Università più antiche dell’Europa, una città a misura di studente giovane e con tante idee, proprio come noi. Ci trovò inizialmente titubanti ma poi forse presi dalla birra e dal pollo ci trovò subito dopo d’accordo, perché non provare!

Noi eravamo a secco di idee ormai da molto tempo e questa città forse ci avrebbe aiutato a trovarle di nuove, almeno non avremmo perso niente anzi avremmo esaudito un nostro sogno di vita e felicità insieme (come diceva Christopher McCandless : “La felicità è reale solo quando condivisa”)

A questo punto, non mi viene altro in mente solo dirvi: “Welcome to Tubinga”, non so ma quella sera di piacevole compagnia tutti noi ci dimenticammo del Covid-19.

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